La chiesa è in stile romanico pisano arcaico, con elementi decorativi probabilmente antecedenti al 1000 che potrebbero far pensare a recuperi di edifici religiosi precedenti. L’impianto è a croce latina senza absidi, ad unica navata, terminante nel transetto. Il braccio sinistro poggia direttamente sulla torre campanaria, il cui piano terreno funge da sagrestia. La copertura, ricostruita a immagine dell’originale, è a capriate lignee sormontate da travicelli, mezzane in laterizi e dal manto umbriacato. è stata costruita in tre fasi: la prima nell’VIII secolo; la seconda, con variazioni strutturali; la terza risale al XII secolo circa ed è proprio in questa fase che la struttura acquisisce lo stile romanico che possiamo ammirare oggi.
La chiesa è costruita in verrucano, pietra tipica della nostra zona, estratta dalle numerose cave presenti sul Montepisano. La facciata presenta un capitello decorato con foglie di acanto e il portone di ingresso è contornato da una cornice che divide l’intera facciata in due livelli, a circa due terzi di altezza. Il portale si apre al centro della facciata sormontato da un’architrave scolpito in motivi vegetali e da un listello di pietra che riporta l’iscrizione medievale latina di invocazione a San Mamiliano. Nella sommità di una delle lesine in facciata è presente una testa zoomorfa, chiaramente raffigurante un bue che però in passato fu scambiato per un lupo, da qui il nome della località. Nella parete laterale sinistra, rispetto alla facciata, è inserito un blocco in cui è stato scolpito un riquadro all’interno del quale è raffigurata una croce ramponata, detta Croce di Gerusalemme. Questa è affiancata da un’incisione risalente al secolo XIII e raffigurante una pianta ai cui rami sono appese delle pigne simili a grappoli d’uva, molto frequenti nelle decorazioni delle pievi toscane; per quanto secondo alcuni autori non siano legate alla tradizione cristiana ma a quella contadina: l’uva e la pina sono infatti simboli di fertilità legati ai culti dionisiaci di origine etrusca, molti diffusi nella cultura contadina. Altri simboli decorano gli esterni, anche questi probabilmente commissionati da Rotperto.
Di particolare pregio e rilevanza sono le due lastre scolpite a basso rilievo. Quella presente in facciata viene chiamata “Lastra I di Lupeta” e risale al secolo XIII circa, periodo al quale appartiene anche la pergamena sulla quale sono riportate le prime notizie su San Jacopo in Lupeta. La lastra è ovviamente molto deteriorata perché esposta alle intemperie e non è mai stata restaurata. Una delle ipotesi più accreditate sostiene che nella lastra siano rappresentati Giobbe, Daniele e Abacuc. Le rappresentazioni iconografiche sono caratterizzate dallo stile utilizzato nelle decorazioni dei sarcofagi e dei sepolcri classici e paleocristiani, si veda la simmetria, l’ordine compositivo, il rapporto e lo spazio tra le figure. Alcuni elementi si rifanno invece all’arte orafa longobarda. Quanto alla seconda lastra, denominata “Lastra II di Lupeta”, è situata nella parte destra della navata. Risalente ai secoli VIII-VIV, fu rielaborata tra i secoli VIV e XI sui modelli grafici e morfologici paleocristiani dei primi secoli medievali. La lastra raffigura quattro personaggi: i due a sinistra sono probabilmente intenti a spremere dell’uva e i due a destra sono circondati da croci e stelle a sei punte. Le due figure poste agli estremi sono in forte contrasto: la figura a sinistra è completamente nuda, con volto fiero e in posizione scomposta proiettata in avanti; mentre quella a destra è vestita di una lunga tunica pieghettata e ha una benda sacerdotale sul braccio destro, il volto ovale e il corpo in posizione frontale.
A sud si possono ammirare numerosi bacatelli in pietra posti a varie altezze. Nel periodo monastico, questi servivano per l’ancoraggio di impalcature mobili utili in caso di assedio.
Presso il transetto si trovano alcuni affreschi: uno di questi, datato XII secolo, si intravede sopra il piccolo arco di accesso alla torre campanaria e raffigura le Pie Donne. Sul lato destro del transetto sono presenti affreschi molto belli, risalenti al XIV secolo, di incerta attribuzione a Neruccio di Federigo, pittore molto attivo nel territorio pisano in questo periodo storico. Questi si trovano meglio conservati perché la parte destra del transetto era l’unica rimasta coperta nel secondo dopoguerra. Nel 1950 il geometra Bernardi infatti afferma che questa era proprio l’unica parte sicura nella quale officiare le funzioni (Antiche chiese del pisano: San Jacopo in Lupeta — di V. Bernardi). Gli affreschi sono costituiti da quattro immagini di santi medievali e sono inseriti in un’architettura gotica. Tutta la composizione sembra fosse contornata da una cornice con decori floreali bianchi su sfondo rosso, affiancata da due cornici più piccole sui toni dell’arancio. Si tratta di santi poco riconoscibili il cui culto nel tempo potrebbe essere caduto in disuso.
Tre personaggi sono ben visibili mentre il quarto è poco definito. Il geometra Bernardi identifica il secondo personaggio in San Giovanni Battista; il terzo in San Mamiliano Vescovo rappresentato scalzo e in atteggiamento benedicente, in ricordo del suo periodo da eremita sull’isola di Montecristo; il quarto in un’anacoreta che potrebbe rappresentare San Paolo di Tebe. Bernardi ipotizza poi nella figura di un quinto personaggio — “un frate recante in mano una croce dalla quale dipartono dei raggi e uno dei dardi che lo stigmatizzano” — una delle più antiche rappresentazioni di San Francesco d’Assisi. Secondo alcune tradizioni, Bernardone (il padre di San Francesco) era proprio originario di Vicopisano. In seguito a un sopralluogo il soprintendente P. Sanpaolesi scrive in un appunto che gli affreschi hanno subito danni a causa di un forte vento, in particolare il San Francesco […] andato quasi completamente in rovina.
Attraverso lo studio di volumi dedicati alle iconografie medievali, si ipotizza che la figura del primo personaggio possa rappresentare San Giovanni Evangelista con due libri nelle mani, in riferimento al suo vangelo e al libro dell’Apocalisse. Si potrebbe confermare inoltre l’ipotesi di Bernardi circa l’identità del secondo personaggio: dai capelli scomposti, le semplici vesti eremitiche e il cartiglio nella mano a ricordare le parole pronunciate dal Santo in occasione del suo incontro con Gesù nel Giordano e dall’indice rivolto verso l’alto a indicare la sede del vero dio. Quanto al quarto santo raffigurato nell’affresco, Bernardi pur avendo visto l’affresco completo, non fu in grado di riconoscervi San Paolo di Tebe perché poco conosciuto. San Paolo di Tebe, vissuto nel III secolo, è considerato il primo eremita della tradizione cristiana: giovane egiziano di nobile famiglia, il santo fu condannato a fuggire nel deserto per sfuggire alle persecuzioni romane. Rifugiatosi sulle montagne nel deserto, visse per più di quarant’anni in una grotta nei pressi di una sorgente, vicino alla quale era cresciuta una palma dalla quale ricavava datteri per cibarsi e foglie da intrecciare per vestirsi. Alla sua morte fu sepolto in una fossa scavata da due leoni. Il perizoma di foglie e i due leoni ricordati dal geometra sono simboli iconografici tipici di questo santo. Queste notizie sono ricavate dagli scritti di San Girolamo: Vita Sanctii Pauli Primi Eremita.
Questi affreschi richiamano il tema dell’eremitismo per ricordare il monastero di San Mamiliano in Lupeta dove erano presenti monaci eremitani agostiniani.
Al centro del transetto si staglia l’altare. La lastra lapidea che ne costituisce il piano orizzontale presenta un bordo modanato ma consunto, il che fa pensare che possa essere un elemento originale.
Originariamente era presente un’acquasantiera in marmo a forma di cassetta, oggi posta nella Pieve di Vicopisano.
Durante gli scavi eseguiti presso la chiesa, sono stati rinvenuti e successivamente trafugati molti oggetti antichi: vasellame, ferramenta, statuette in pietra, ecc. Un articolo de Il Telegrafo riporta che i coloni di Lupeta dissotterravano spesso ferramenta, scodelle in bronzo ed altri utensili di antica fattura.
Il 22/09/1921 il principe ereditario Umberto II di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele III, visitò il Castello di Vicopisano. In questa occasione, il piovano Don Arrigo Losoni mostrò al principe due antichi candelabri di ferro battuto, risalenti al XII secolo, provenienti da alcuni scavi eseguiti presso la chiesa di San Jacopo in Lupeta. A fronte della grandiosa ammirazione dimostrata, il piovano decise di far dono al principe di uno dei due candelabri.
Nell’ottobre del 1968, una tela del XVII secondo raffigurante la Vergine, il bambino e altri personaggi, originariamente esposta in San Jacopo, fu ricollocata dalla Soprintendenza presso la Pieve per garantirne una migliore preservazione. Più o meno nello stesso periodo, il parroco richiede lo stesso spostamento anche per alcuni piccoli quadri raffiguranti i misteri del rosario ma questo non fu possibile perché le sorelle Crastan ne reclamarono la proprietà.
Sulla parete destra della chiesa si osservano tre mensole architettoniche forse risalenti all’VIII secolo, parzialmente decorate con motivi similari agli elementi che si ritrovano in facciata.
Tra la seconda e la terza mensola si trova la lapide marmorea che testimonia il passaggio di proprietà della chiesa dal Capitolo di Pescia alla famiglia Balducci.
Nel piccolo architrave della penultima nicchia portalampada è incisa una piccola colomba, simbolo paleocristiano ricorrente, visibile anche nel capitello della lesena del transetto. Vi è anche un cordolo spiraliforme, che richiama molto gli elementi architettonici esterni, databile al secolo XIII completato con colombe decorative incise successivamente nel XII secolo circa.
Mentre il capitello angolare del transetto destro — decorato con motivi floreali e geometrici — si è conservato piuttosto bene negli anni, il capitello della lesena del transetto destro e quello angolare del transetto sinistro, presumibilmente del secolo XI, versano in condizioni molto degradate.
L’architrave della porta principale è costituito da un imponente blocco di verrucano, che sovrasta una cornice lavorata finemente a spirali e foglie d’acqua di derivazione mista: greca e bizantina.
Compresi tra il braccio superiore e la cornice inferiori vi sono due listelli di cui quello superiori presenta tre croci realizzate con cinque fori e quello inferiore riporta l’iscrizione: “R. De Lupeta ornavit h (oc) opus – pro – eterna vita + Mamiliane sacer pro nostris ora delictis”.
“R” potrebbe stare per Rotperto, il nome del sacerdote che aveva ricevuto la chiesetta in dono dal Vescovo Andrea e che fondò il convento. L’iscrizione rinnova la dedizione al Santo Mamiliano.
Appartenenti al secolo XIII sono i capitelli delle lesene che incorniciano la facciata. I capitelli sono costituiti da un unico blocco di pietra verrucana, sono lavorati su tre lati e decorati con foglie d’acqua, come l’architrave. Al fine di definire proporzionalmente e geometricamente la facciata, una cornice divide la parte superiore da quella inferiore la quale è stata alterata nel tempo da vicissitudini di varia natura che hanno portato alla scomparsa della muratura originaria del sottotetto. Dei rapporti che regolano la parte superiore del primo impianto resta la misura compresa tra la cornice marciapiano e i capitelli delle lesene angolari. La seconda lesena da destra presenta poco al di sotto del capitello una scultura singolare che rappresenta una testa di animale, vicina alla tradizione longobarda, che testi cristiani collocano tra VIII e VIV secolo.
In facciata è visibile un blocco che ospita una transia a forma di fiore e due losanghe, opere di valore artistico e storico inferiore. Sul lato sinistro si trova la porticina secondaria, arricchita di dettagli architettonici pari a quelli della porta principale. Il lato sud della chiesa risulta meno decorato rispetto al resto della struttura.